Il bilancio d’esercizio fornisce una visione sintetica della situazione economica, finanziaria e patrimoniale di una azienda; la comparazione di bilancio rappresenta uno strumento che consente di “studiarne” l’evoluzione, dà, pertanto, agli amministratori una serie di informazioni che possono utilizzare nell’ambito dei vari processi decisionali. La comparazione dei dati storici, infatti, contribuisce a delineare gli scenari futuri, spesso ancorati ai risultati del passato. Altrettanto importante è la comparazione dei bilanci tra aziende operanti nel medesimo settore.
L’analisi dei rapporti aventi ad oggetto la composizione dell’attivo evidenzia i legami tra le varie classi di attività e il totale corrispondente. Ad esempio, il rapporto tra il totale degli investimenti immobilizzati ed il totale delle attività palesa il grado di immobilizzazione del capitale che, quando rilevante, inficia la capacità di fronteggiare anche temporanee crisi di liquidità. I rapporti tra le varie classi di finanziamento ed il totale corrispondente danno evidenza, invece, di quali sono le fonti di finanziamento utilizzate per gli investimenti operati: fotografano in che misura si è attinto al capitale proprio, la possibilità di attingere ulteriormente a fonti esterne di finanziamento, quindi la fiducia rivolta dai finanziatori.
Importante sono altresì le relazioni tra grandezze dell’attivo e del passivo. In primis il rapporto tra le attività correnti e le passività correnti (current ratio), che rilevano la capacità di una azienda di rispondere adeguatamente al pagamento dei debiti di breve periodo. Tale indice, in verità, focalizza la situazione di breve periodo desunta dai dati contabili. Esprime, quindi, una situazione che discende dalla destinazione attribuita alle varie voci di bilancio, altre sono le considerazioni da fare per addivenire all’esame dell’intera situazione finanziaria di una impresa. Un disequilibrio finanziario che dovesse emergere dal confronto tra le attività correnti e le passività correnti potrebbe essere agevolmente superato tramite la vendita di una attività immobilizzata. Di contro, un perfetto equilibrio finanziario risultante dal rapporto tre le attività correnti e le passività correnti potrebbe celare una rilevante crisi di liquidità. Fattispecie questa rilevabile qualora i crediti iscritti nel circolante dovessero presentare problemi di solvibilità.
Secondo alcuni studiosi il current ratio intorno al 2 poteva essere assimilato ad una “normale” situazione di liquidità. Altri studiosi hanno in merito manifestato forti dubbi, stante che l’analisi occorre tenga conto dell’effettiva capacità di realizzo di una attività (si pensi, come già detto, allo smobilizzo dei crediti correnti).
Ovvio, inoltre, che l’esame del singolo rapporto ha una efficacia segnaletica limitata, occorre analizzare i rapporti tra varie grandezze in maniera congiunta, allargando il confronto anche ai dati storici, consapevoli comunque del fatto che nessun rapporto è in grado di dare informazioni insindacabili e adattabili a tutti i contesti.
La lettura combinata dei vari rapporti – patrimoniali/economici/finanziari – supporta lo sviluppo di una articolata analisi aziendale. Importante, in tal senso, sono anche i cosiddetti rapporti di rotazione, che misurano sinteticamente quante volte in un determinato periodo l’attività (per esempio: magazzino, crediti) esaminata si rinnova. L’economicità di una attività discende da un’alta rotazione della stessa, dalla quale consegue un maggiore utilizzo del complesso aziendale, ergo una minore incidenza dei correlati oneri. Si pensi all’indice di rotazione del magazzino, è importante vi sia un rapido ricambio delle scorte, anche al fine di evitare “inutili” immobilizzi di risorse. Tuttavia, la mera lettura di suddetto indice, scevra di approfondimento, potrebbe generare una errata interpretazione del dato. In specie, un alto indice di rotazione delle merci normalmente lascia presagire un buon risultato economico, conclusione che non risponde sempre a verità. Un’alta rotazione potrebbe conseguire da una svendita delle merci, giova, pertanto, allargare l’analisi ai dati storici ed a quelli dei competitors. Lo stesso dicasi per l’indice di rotazione dei crediti. Una bassa rotazione può essere ascritta a una maggiore dilazione dei termini di pagamento concessi ai clienti, al fine di incentivare le vendite, ovvero ad un peggioramento della solvibilità del portafoglio clienti. La prima fattispecie produce effetti positivi sulla redditività aziendale, la seconda negativi. È pur vero che i risultati positivi determinati dalla prima ipotesi hanno un negativo risvolto finanziario.
Tutto questo per ribadire, ancora una volta, quanto sia importante svolgere una analisi completa di una azienda, le cui dinamiche patrimoniali economiche e finanziarie sono strettamente connesse. Più in generale, l’analisi di bilancio, esplicitata attraverso lo studio degli indici/rapporti, ovvero dei flussi (cash flow), costituisce la pletora di info a disposizione della governance e delle funzioni di controllo per l’identificazione dei rischi aziendali. Identificarli in modo tempestivo significa, molte volte, evitare la perdita del presupposto di continuità aziendale.
Il nostro legislatore con l’introduzione del Codice della Crisi[1] e dell’Insolvenza delle Imprese (CCII) ha introdotto/previsto una serie di strumenti volti a mitigare il rischio di default di un’azienda.
Più segnatamente, l’articolo 13, comma 1 del CCII recita quanto segue:
“Costituiscono indicatori di crisi gli squilibri di carattere reddituale, patrimoniale o finanziario, rapportati alle specifiche caratteristiche dell’impresa e dell’attività imprenditoriale svolta dal debitore, tenuto conto della data di costituzione e di inizio dell’attività, rilevabili attraverso appositi indici che diano evidenza della sostenibilità dei debiti per almeno i sei mesi successivi e delle prospettive di continuità aziendale per l’esercizio in corso o, quando la durata residua dell’esercizio al momento della valutazione è inferiore a sei mesi, per i sei mesi successivi. A questi fini, sono indici significativi quelli che misurano la sostenibilità degli oneri dell’indebitamento con i flussi di cassa che l’impresa è in grado di generare e l’adeguatezza dei mezzi propri rispetto a quelli di terzi. Costituiscono altresì indicatori di crisi ritardi nei pagamenti reiterati e significativi, anche sulla base di quanto previsto nell’articolo 24”.
L’articolo 13 comma 2 del CCII ha assegnato al Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili (CNDCEC) il compito di elaborare gli indici di cui al primo comma.
Le disposizioni di cui all’articolo 13 comma 1 del CCII si applicano indistintamente a tutte le imprese, gli indici elaborati dal CNDCEC presentano valori soglia differenti per settori economici.

Il sistema segue una logica di tipo gerarchico. Il superamento del valore soglia del primo (patrimonio netto negativo) rende ipotizzabile la presenza dello stato di crisi. In presenza di patrimonio netto positivo viene richiesto un ulteriore “esame”, ovvero il calcolo del Debt Service Coverage Ratio (DSCR). Quando il DSCR è maggiore di 1 significa che la società genera liquidità; quando è inferiore a 1 è ragionevole presumere vi sia uno stato di crisi.
Quando il DSCR non è disponibile oppure non affidabile, si devono calcolare i seguenti indici:
- Indice di sostenibilità degli oneri finanziari;
- Indice di adeguatezza patrimoniale;
- Indice di ritorno liquido dell’attivo;
- Indice di liquidità;
- Indice di indebitamento previdenziale e tributario.
I 5 indici anzidetti hanno rilevanza se congiuntamente utilizzati, vi sarebbero viste parziali di indizi di crisi se venissero analizzati isolatamente. Ergo, solo il contestuale superamento di tutte le 5 soglie stabilite per tali indici identifica la ragionevole presenza di uno stato di crisi.
L’analisi statistica effettuata dal CNDCEC e dal Cerved ha sviluppato le seguenti soglie, articolate in funzione dei vari settori identificati:

Seguono le modalità di calcolo degli indici settoriali:


Il CNDCEC ritiene che gli indici debbano essere monitorati ogni trimestre. Occorre, conseguentemente, vi sia una situazione contabile infrannuale, redatta previa applicazione del principio contabile OIC 30.
Concludendo, è importante che una azienda si doti di strumenti utili allo sviluppo di una accurata analisi di bilancio, declinata attraverso l’elaborazione di vari indici, cash flow e indicatori, costruiti su dati storici e prospettici. Essa rappresenta lo strumento principe per il monitoraggio dello stato di salute di un’impresa. Tale analisi, che ha trovato diverse declinazioni nel corso della storia, si è oggi “accasata” nel CCII, che prevede il calcolo e controllo di almeno una serie di indici/indicatori, ne stabilisce le soglie, fornendo “ragionevoli presunzioni” in caso di superamento e non trascurando l’ipotesi che le presunzioni possano essere superate in presenza di ulteriori analisi, basate, ad esempio, su dati prospettici. Ciò che giova enfatizzare è l’evidente crescita, rispetto al passato, dell’importanza attribuita al controllo/monitoraggio delle imprese, che trova spessore in un complesso aziendale adeguatamente strutturato, in ossequio anche a quanto previsto dall’art. 2086 del Codice civile, che recita quanto segue:
“L’imprenditore che operi in forma societaria o collettiva ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi”.
[1] Il Codice della crisi di impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019) emanato in attuazione della l. n. 155/2017 avente a oggetto la delega al Governo per la riforma della materia, entrerà (dovrebbe) in vigore il prossimo 1° settembre 2021.