Le misure finalizzate a combattere la pandemia Covid-19 hanno generato effetti notevoli sui mercati del lavoro a livello mondiale. Una recente ricerca svolta da McKinsey Global Institute ha valutato l’effetto duraturo della pandemia sulla domanda di lavoro e sul mix di occupazioni e competenze richieste, nell’ambito di alcune nazioni che nel loro complesso rappresentano circa la metà della popolazione mondiale e il 62% del PIL globale (Cina, Stati Uniti, India, Germania, Francia, Regno Unito, Giappone e Spagna). Lo studio condotto porta i ricercatori ad affermare che più del 25% dei lavoratori sono destinati, prevedibilmente, a cambiare occupazione, oltre ad una enorme accelerazione delle tendenze a lavorare in remoto, all’automazione e all’e-commerce.
Guardando al nostro Paese e alle tante misure adottate per arginare gli effetti della pandemia sul terreno economico e sociale, il decreto Cura Italia (D.L. 18/2020) ha introdotto il divieto dei licenziamenti ed il più ampio ricorso agli ammortizzatori sociali, misure oggetto di ripetute proroghe (il divieto dei licenziamenti resterà in vigore fino al prossimo 30 giugno). Su utilità e durata del “blocco” dei licenziamenti il dibattito politico è in corso ormai da mesi ed è destinato ad intensificarsi con l’approssimarsi della sua scadenza. A prescindere da valutazioni di merito, è certo che la lettura e l’interpretazione degli effetti registrati nel nostro Paese sul fronte occupazionale, e più in generale sul sistema economico, devono tenere in giusta considerazione la portata dei citati provvedimenti, rivolgendo poi necessariamente lo sguardo a quando questi cesseranno.
Facciamo fatica ad immaginare quale sarebbe potuta essere la situazione in assenza di quelle misure, però possiamo in parte conoscere quanto avvenuto. L’ISTAT ha recentemente reso noto (Rapporto “Occupati e disoccupati” pubblicato il 6/4/2021) che nel corso dei dodici mesi successivi all’avvio della pandemia (quindi dal febbraio 2020) in Italia si sono persi circa 945 mila posti di lavoro. Una riduzione che ha riguardato lavoratori autonomi (-355 mila) e lavoratori dipendenti (-590 mila), sia a termine che a tempo indeterminato. Il conseguente impatto negativo sul tasso di occupazione è risultato pari al 2,2%. È bene precisare, perché i risultati di ogni ricerca vanno letti alla luce delle note metodologiche adottate, che nel rapporto dell’ISTAT non vengono conteggiati tra gli occupati i lavoratori che da oltre tre mesi percepiscono la cassa integrazione. Un’ulteriore analisi degli effetti che questa crisi senza precedenti ha prodotto sul mercato del lavoro nazionale la troviamo nel “Rapporto annuale sul mercato del lavoro 2020”, frutto della collaborazione tra Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Istat, Inps, Inail e Anpal (pubblicato il 21/2/2021).
La lettura dei dati che sono emersi dai suddetti studi sollecita molteplici spunti di riflessione in merito ai possibili scenari futuri, in particolare su come il mercato del lavoro sia destinato a mutare le proprie tendenze e caratteristiche a causa della pandemia, nonché su capacità, attitudini e potenzialità del nostro sistema imprenditoriale nel sapere rispondere ai cambiamenti, tenendo conto della sua struttura caratterizzata in prevalenza da piccole e medie imprese.
Cambiamenti nell’organizzazione del lavoro appaiono certi e tutti ne parlano. Si tratterà di cambiamenti che necessiteranno di nuove regole, ma anche di un mutamento culturale nel concepire ed esplicare il rapporto tra azienda e lavoratore. Le imprese dovranno fare i conti con valutazioni che coinvolgeranno aspetti di natura valoriale e non solo operativa.
Alcuni recenti sondaggi hanno evidenziato che tra gli effetti della pandemia sui mercati del lavoro internazionali vi sarà la marcata tendenza dei giovani talenti a cambiare occupazione e soprattutto a trasferirsi in altri paesi. Dell’esigenza per le imprese di essere in grado di attrarre talenti se ne parla da molto tempo e certamente tale scenario assume una valenza particolare in Italia dove registriamo da tempo la tendenza a perderli i talenti anziché attrarli. Una delle sfide che molte delle nostre PMI dovranno affrontare sarà proprio quella di non perdere ulteriore terreno a fronte dei prevedibili flussi che interesseranno i mercati internazionali del lavoro, ma anzi coglierne le opportunità che insieme ai rischi accompagnano ogni processo di cambiamento. In effetti è ragionevole pensare che proprio il mondo del lavoro possa essere l’ambito nel quale avverranno i maggiori e stabili mutamenti negli stili di vita. È indubbio che in un contesto che cambia, a causa di uno shock così improvviso e generalizzato, deve essere il sistema Paese a sapere reagire nel suo complesso, non lasciando sole le imprese. Allo stesso tempo le entità imprenditoriali dovranno attrezzarsi adeguatamente, intervenendo sui propri modelli organizzativi fino anche a rivedere i consueti processi di recruitment. Tali azioni e i loro esiti assumeranno una valenza particolare nell’ambito delle PMI, che dovranno essere in grado di destinare efficacemente risorse per intercettare opportunità e limitare i rischi.
Non si parla unicamente di mutamenti tesi a favorire ed efficientare la tanto discussa e commentata tendenza allo smart working, quale complementare modalità di lavoro. Si dovrà ragionare più in generale su nuovi approcci per rispondere alle aspettative dei lavoratori, alle differenti condizioni. Tra queste il ruolo della formazione in ambito aziendale riveste un ruolo fondamentale. Gli effetti della pandemia hanno stravolto il modo di svolgere formazione sul luogo di lavoro. Il distanziamento e il lavoro in remoto hanno di fatto impedito o limitato l’approccio formativo “on the job”, fondato sull’operatività sul campo e sulla stretta collaborazione tra colleghi giovani e colleghi più esperti. Un normale approccio non solo praticato nei comparti industriali e manifatturieri ma anche e marcatamente in quello dei servizi.
Portando ad esempio quanto avvenuto in Uniaudit, dove in tempi “normali” l’attività si svolge con l’operatività dei nostri team di lavoro presso le società clienti, quindi con modalità che prevedono costantemente interazione e confronto tra colleghi con differenti livelli di esperienza professionale, ci siamo trovati a dover affrontare con sollecitudine l’esigenza di avviare, proseguire e implementare la formazione dei giovani neolaureati entrati nella nostra organizzazione in periodo di pandemia o poco prima, consapevoli dell’indebolimento dell’approccio “on the job” a causa delle misure anti Covid-19, ma anche della formazione tradizionale in aula. In sostanza, è stato necessario studiare ed attivare procedure interne per permettere di non impoverire il necessario scambio di conoscenze, quale fattore determinante per il percorso individuale di crescita in azienda, ed alimentare il dialogo ed il confronto nell’ambito della comunità di lavoro.
Abbiamo tutti imparato ad utilizzare le molteplici piattaforme digitali che sono diventate una presenza fissa nelle nostre giornate di lavoro, tanto da essere state classificate come i sistemi di maggior successo nel supportare le organizzazioni durante la pandemia (in verità hanno supportato anche il mantenimento delle relazioni con amici e conoscenti). Importante è essere consapevoli che l’introduzione di nuovi strumenti impone in ogni caso cambiamenti di approccio e natura metodologica. I responsabili aziendali delle funzioni risorse umane, formazione e non solo, hanno rivolto e stanno rivolgendo la loro attenzione alla comprensione di cosa ha effettivamente funzionato e delle debolezze emerse nel supportare le persone che hanno continuato a lavorare in un contesto organizzativo improvvisamente mutato e carico di incertezze, nella convinzione dell’importanza di trarre da questa esperienza che stiamo vivendo quanto più possibile possa essere utile per affrontare l’immediato futuro. Si tratta di informazioni e conoscenze che non dovranno essere disperse e che anzi andranno implementate per migliorare produttività e benessere nelle aziende, che in molti ambiti sono destinate a non essere più confinate tra le pareti degli uffici.